DI TERRA IN TERRA
L’elemento fittile ha caratterizzato la produzione artistica, artigianale e architettonica della comunità cremasca. Fin dagli albori della storia è testimoniata nei diversi paesi del circondario la grande familiarità riservata dai locali alla lavorazione della terracotta. Grandi monumenti (mura, duomo), opere d’arte (compianti funebri, altari polittici), piccoli manufatti ( vasellame, pesi per telai, tavelloni) recano lo specifico segno di una continuità rintracciabile anche nei reperti dell’archeologia industriale. A Oriolo, Vergonzana, San Bernardino svettano solitarie le torri del silenzio, ciminiere delle fabbriche ottocentesche, destinate alla produzione di laterizi. Tutto questo porta a considerare la presenza di un passato vivacemente prolifico. L’elemento terra ci ha caratterizzati nei secoli e ancor oggi è in grado di indicarci la strada che si apre al futuro.
La bella mostra inaugurata in questi giorni presso la sala Agello, che continua nelle sale del Museo Civico, in dialogo singolare con le collezioni istituzionali, offre l’ennesima conferma di questo sodalizio. Le sculture esposte appartengono a quattro artisti: Franco Marinoni, Anna Mainardi, Vanni Donzelli e Francesca Baldrighi.
Il ritorno al pubblico delle opere di Franco Marinoni conduce alla scoperta di geometrie razionali, abitazioni solo apparentemente infantili. Ad esse si associano i volti spaesati dei personaggi modellati, dalle cui bocche sembrano uscire urla di un dolore antico. Sono reminiscenze di straordinarie e terribili esperienze nate dall’incontro con le antiche culture messicane.
Le sculture di Anna Mainardi trasmettono la presenza di esotici mondi lontani. La loro intensità espressiva induce al confronto con eterni miti, usanze tribali, critiche situazioni correnti. Queste immagini provocano la sensibilità assopita del visitatore moderno, lo distraggono dalla realtà ovattata, lo spingono ad una inevitabile scelta di campo.
Geometricamente coordinate sono le rappresentazioni di Vanni Donzelli dove oscurità e luminismo si alternano, non in uno scontro, ma in un gioco cromatico, finalizzato a risolversi in plasticità visiva a cui corrisponde una complessa armonia.
L’elemento umano prende forma nei volti seriali di Francesca Baldrighi che, nella loro incisiva ripetitività, riproducono lo stereotipo del caratteriale postmoderno. Traspaiono espressioni quasi prive di sentimento, solamente tipizzate dalle diverse macchie di colore. L’emblematica essenza delle ossa (Les fleurs du mal) equivale ad un medioevale memento mori.
In questa elegante esposizione visioni diverse si ricompongono in un approdo unico, nel comune richiamo alla grande terra madre, elemento primordiale di ogni inizio e di ogni fine.
Commenti
Un bell’affresco Walter, sulla mostra.
Tu hai, indubbiamente, strumenti più raffinati dei miei (sono sempre un pro-fano =davanti al tempio di fronte al mondo dell’arte) e poi da anni tu ti occupi di questo genere piuttosto raro (mi pare) di arte anche sotto il profilo storico.
Davanti all’arte, poi, ognuno “vede” sulla base della sua formazione culturale (o, della sua deformazione professionale, come è nel mio caso).
Che cosa ho… provato?
Ho… udito l’eco di mondi antichi e remoti (scoperti dall’uomo europeo da soli alcuni secoli) nelle opere di Franco Marinoni: uno sguardo ai tempi lunghi della storia, alla nascita e al declino delle civiltà.
Mi ha illuminato la… Morandiana di Vanni Donzelli che esercita (almeno per me) un fascino particolare e poi così ben integrata nel museo tanto da confonderla tra le opere museali.
Nelle opere di Anna Mainardi ho visto una grande ricchezza simbolica che rinvia ai grandi problemi del nostro tempo (dalla barca all’orante).
In Francesca Baldrighi, infine (a prescindere dalla felice e suggestiva idea dei nidi per gli insetti da collocare in un contesto urbano – un’idea che rivela una particolare sensibilità per ogni essere vivente, degno di convivere accanto agli uomini), ho colto non solo nelle ossa (ben collocate nel museo in un contesto di… scheletri), ma anche nelle maschere il nostro destino e quindi un monito a vivere intensamente quell’attimo che ci è stato dato prima di tornare polvere, pietra.
Una mostra ben allestita, con un numero straordinario di opere, con percorsi dentro il nostro piccolo tempio dell’arte che è il museo (per molti visitatori è stato una sorpresa).
Una mostra che ci parla.
Ci apre gli orizzonti sia temporali che geografici.
Ci fa riflettere.
Grazie, artisti!
Sì, una bella mostra, allestita e decentrata benissimo. Bravi tutti quattro. Un “brava” particolare a Anna, amica da sempre, per l’appassionante e appassionata dedizione al racconto del suo pensiero. Per chi non lo sapesse segnalo il concerto che chiuderà la mostra con Eleonora Filipponi, mezzosoprano, e Alessandro Carelli al pianoforte. Da ricordare la danza butoh di domenica scorsa. Affascinante.
Grazie di cuore a Walter Venchiarutti per aver dedicato grande attenzione alla mostra, individuando, con sensibilita e competenza, i diversi linguaggi di noi quattro scultori.
Ha saputo tracciare un percorso storico/artistico che arricchisce l’artista e il fruitore delle opere.
Grazie a Piero che afferma sempre di essere profano in campo artistico …e poi ci spiazza con le sue acute, personalissime interpretazioni!
E come non ringraziare l’amico di sempre, Ivano, il cui apprezzamento mi è particolarmente caro, sapendolo ipercritico e ipersincero, mai ” complimentoso” …
Ancora grazie a tutti,
Anna
Una piccola integrazione.
Ho visto con piacere all’inaugurazione moltissima gente, segno che il fascino dell’arte non muore mai.
Un’arte, tra l’alto, accompagnata da altre modalità artistiche: la musica e la danza.
Abbiamo assistito, quindi, non solo a due artisti che hanno dialogato tra loro con linguaggi differenti ma con uno stesso “materiale”, ma anche al dialogo tra tipi d arte.
Una riflessione finale (del tutto personale).
Nella mia vita mi sono occupato prevalentemente di argomentazioni, di ragionamenti, di coerenza tra discorsi e le mie letture sono state per lo più dedicate dedicate alla saggistica.
Negli ultimi anni, grazie anche agli input di CremAscolta, ho iniziato un percorso di avvicinamento all’arte (perfino alla lirica che sentivo lontanissima) e confesso che mi ha fatto piacere e ha illuminato anche i miei studi filosofici.
Già: mi rendo sempre più conto che gli artisti (senza scomodare l’interpretazione idealistica) sanno cogliere, grazie alla loro peculiare sensibilità, qualcosa che i profani non colgono e questo qualcosa spesso si rivela profondo.
Non si tratta di enfatizzare il ruolo dell’arte, tanto più il ruolo “civile” dell’arte” o ancor più il suo “ruolo filosofico”.
A volte, però (e la mostra di cui parliamo mi dà lo stimolo) ho la sensazione che gli artisti sappiano trasmettere dei “messaggi” in senso lato filosofici e civili che i filosofi con i loro libri da iniziati non riescono a comunicare.
Non dimostrano nulla, ma “parlano” (ai più) spesso più dei filosofi.
Certo, talvolta anche il loro linguaggio è per “iniziati”, ma credo che lo sia molto di meno rispetto al linguaggio dei filosofi, a meno che si vogliano leggere le stupende (artisticamente) pagine dei Dialoghi di Platone o altrettanto stupende pagine di Schopenhauer.
Si può essere insieme “filosofi” e “artisti”.
So di chiedere troppo, ma mi piacerebbe sentire dalla viva voce dei quattro artisti in questione, magari col format di una tavola rotonda, quali “messaggi” hanno voluto trasmettere e se, a quei messaggi, si possa dare un seguito nell’impegno civile o anche solo come ulteriori strumenti di lettura del nostro tempo.
Riprendo e rilancio la mia idea.
Una tavola rotonda a chiusura della mostra potrebbe consentire
– ai quattro artisti di… confessare i messaggi che avevano nelle loro “intenzioni” (non posso credere che un artista non abbia alcun messaggio);
– ai quattro artisti di dialogare sia con la critica d’arte Natalia Vecchia che ha presentato magistralmente la mostra stessa, sia con i tanti profani (come me) del pubblico che hanno avuto l’opportunità di visitarla;
– ai quattro artisti di verificare il grado di accessibilità del “linguaggio” usato (non è affatto scontato che un artista riesca a rendersi comprensibile ai più;
– ai visitatori, a loro volta, di affinare i loro strumenti di lettura di un’opera d’arte (io tendo a vedere i messaggi, ma l’arte è fatta anche di tecnica, di estetica…);
– a tutti insieme di mettere in atto, magari, qualche iniziativa utile alla città (l’idea della casa degli insetti di Francesca Baldrighi, immagino sia un’idea che possa essere realizzata);
– a tutti insieme di verificare possibili altri canali di questa mostra (magari, non attendere che… la gente venga a visitare la mostra, ma andare laddove c’è la gente)…
So bene che la mia idea, quand’anche fosse considerata “sensata” (per me lo è, ma vi è chi sostiene che l’artista non deve dire la propria intenzione o la propria “lettura” dell’opera, ma un’opera, una volta è creata, è esclusivamente dei… lettori terzi), verrebbe considerata “fuori tempo massimo” (la mostra si chiude domenica sera), ma magari potrebbe essere valida per le mostre future.
Personalmente credo molto che a questo dialogo di un artista con la sua comunità, un dialogo che potrebbe assumere un “valore civile”.
….bella Mostra, ricchissima di spunti grazie alla qualità assai diversificata delle quattro proposte artistiche.
Come non emozionarsi davanti alla “nave” di Anna?!?
Ritrovare poi un compagno di infanzia/preadolescenza (gFranco Marinoni) dal quale i diversi percorsi di vita mi avevano allontanato per più di un cinquantennio è stato poi per me momento di grande emozione, emozione per così dire …. “consolidata”, dalla grande qualità della sua arte: davvero grande!
Una considerazione a parte merita poi il contributo di Maruska Marulin con al sua performance di Danza Butoh. Raramente la mia vita mi ha portato a momenti di così alta emozione e di questo sono profondamente grato alla ormai bravissima Maruska!
Grazie davvero cara amica ti sono/siamo debitore/i per il bello che hai distribuito generosamente!
In una ipotetica tavola rotonda chiederei, tra l’altro, ai quattro artisti se considerano la loro arte una forma di “conoscenza”, più specificamente una “intuizione” lirica alla Croce, oppure se la ritengono un sapiente “gioco di dominio” della materia.
In ambedue le ipotesi, poi, chiederei di chiarire come hanno declinato la loro… teoria dell’arte nelle loro opere concrete: quali conoscenze o intuizioni intendeva trasmettere, quale “impronta umana” volevano dare nel loro dominare la natura (un messaggio “conoscitivo” o delle “emozioni”)?
E ancora: in che misura considerano “utile” la loro arte al nostro tormentato tempo? Intendono denunciare qualcosa (leggo che Natalia Vecchia, a proposito dell’opera di Anna Mainardi, parla non di urlo, ma di… sussurro) o semplicemente… colpire “emotivamente” il visitatore?
Caro Piero,
fedele al monito “verba volant scripta manent”, come già sai, ho sottoposto informalmente agli amici della redazione di Insula Fulcheria l’idea di dedicare il monografico 2019 della rivista (naturalmente in caso di riconferma) al tema della lavorazione della terracotta in territorio cremasco. L’excursus molto ampio ” Dai protovillanoviani agli artisti moderni” assommerebbe saggi di natura archeologica, scultura artistica sacra e profana, privata e pubblica, studi sulle decorazioni architettoniche e considerazioni sulle produzioni industriali, fin a lambire il settore dell’arte contemporanea. Sono convinto che questi contributi potrebbero portare acqua al mulino di una nostra migliore conoscenza identitaria, Di quello che il nostro comune maestro d. Marco Lunghi ha chiamato “Homo Cremensis”. Per cui ben vengano incontri, dibattiti e conferenze purchè qualcosa resti a disposizione di chi verrà dopo
Certo, Walter: dedicheremo il tema monografico dell’edizione 2019 di “Insula Fulcheria” giusto a questo genere di arte al fine di lasciare una testimonianza “scritta”.
Ma è proprio in questa ottica che si colloca la mia idea: lasciare una testimonianza scritta delle “intenzioni” degli artisti e delle “interpretazioni” dei visitatori, del rapporto che hanno gli artisti in questione con il loro tempo, del “ruolo” che credono di svolgere (un’arte “impegnata” o un’arte tutta chiusa in se stessa?).
Si tratta di testimonianze che potrebbero scaturire dalle tavole rotonde o confronti conclusivi delle mostre tra gli artisti e i visitatori. Testimonianze che vanno “oltre” il punto di vista dei pur apprezzati critici d’arte non sempre comprensibili, col loro linguaggio da iniziati, dai profani.
Sento il solito mantra di “color che sanno” che gli artisti “parlano” solo attraverso le loro “opere”.
Ma anche gli scrittori (romanzieri, poeti…) producono arte, eppure dialogano “pubblicamente” con i loro lettori.
Un’idea, ripeto.
Solo un suggerimento per le prossime mostre (visto che l’ho pensata fuori tempo massimo).