Uno spettro si aggira per l’Europa. Soprattutto nell’Europa meridionale e in certe parti d’Italia. È lo spettro del fancazzismo. Si nasconde sotto diversi nomi e maschere ma la sua natura fancazzista presto o tardi lo tradisce, non lasciando dubbi sul suo vero scopo: impoverire chi lavora e arricchire chi, come si diceva in antica Terraferma veneta, vuole fare il “michelazzo”, che “sol vorria magnare, bevere e andar a sollazzo”. Di recente, rispondendo al richiamo “fancazzisti di tutta Italia unitevi”, ampie masse di fancazzisti si sono riversate nella politica italiana. I conseguenti mutamenti elettorali e politici hanno portato i loro rappresentanti al governo, in alleanza con un’altra forza politica peraltro minoritaria in ambito parlamentare e ministeriale. Adesso quelle masse attendono dai loro eletti l’adempimento delle promesse elettorali, come quella di poter vivere alle spalle della collettività, proprio come un michelazzo, non facendo, appunto, un emerito nulla.
La costituzione italiana sarà modificata e la repubblica non sarà più basata sul lavoro ma sul fancazzismo. Quella del primo maggio non sarà più la festa del lavoro ma del fancazzismo. Il principio fondamentale sarà che non il lavoro ma il fancazzismo nobilita l’uomo. Le prime normative dei governanti fancazzisti scoraggiano il lavoro e incoraggiano il fancazzismo. L’operazione è avallata dalle teorie fancazziste di alcuni sociologi d’area fancazzista, secondo i quali il lavoro sta scomparendo dal mondo, le macchine faranno tutto il lavoro residuo e quindi i fancazzisti potranno vivere di sussidi sociali, proprio come un michelazzo, non facendo, appunto, un emerito nulla.
Il fancazzismo è stato anche ammantato di intellettualismo culturale, con citazioni tratte dai fancazzisti che nei secoli hanno celebrato il fancazzismo e il diritto a farsi mantenere dalla società. Il fancazzismo esiste da sempre ma finora era motivo di biasimo, non titolo di merito. Adesso invece il fancazzismo trionfa e ciò che ieri, sotto varie etichette, era considerato come iattura parassitaria (reddito minimo garantito, reddito di base, reddito di cittadinanza, reddito di inclusione: la fantasia lessicale fancazzista è sempre stata proverbiale), oggi diviene principio legittimante a percepire compensi gratuiti dalla comunità, proprio come un michelazzo, non facendo, appunto, un emerito nulla.
Le ragioni per cui l’Europa meridionale e certe parti d’Italia sono a vocazione fancazzista e hanno realizzato con naturalezza la transizione istituzionale fancazzista sono diverse. Alcune sono storiche. Ad esempio, il vissuto religioso non protestante o calvinista ma cattolico e controriformista, per cui “fate come gli uccelli del cielo, eppure eppure”, “la c’è, la c’è la provvidenza”, apogei di pensiero su cammelli e crune dell’ago, fiducia in eventi miracolosi riguardanti sostanze alimentari automoltiplicantesi o mutamenti di stato fisico da bevande comuni a pregiate, intercessioni di santi, madonne e reliquie invece di rimboccarsi le maniche, schemi comportamentali basati su meccanismi di impunità garantiti da processi di contrizione e pentimento affidati alla mera autocertificazione. Questi modelli attitudinali hanno costituito un humus storico, un terreno di coltura ideale per il fancazzismo, spianando la strada alla convinzione che si possa campare a ufo grazie all’assistenzialismo pubblico, proprio come un michelazzo, non facendo, appunto, un emerito nulla.
Ci sono poi ragioni più recenti, ad esempio quelle riferite al vuoto politico e neuronale della partitocrazia precedente, sconfitta dai fancazzisti. Per una nota legge fisica, il vuoto facilita l’inserimento del pieno. Se il corpo pieno, vicino al vuoto, è fancazzista, ecco fatto il pieno di fancazzismo. Sui motivi del trionfo fancazzista rispetto al precedente deserto umano e politico, non c’è da stupirsi. Un ulteriore motivo consiste nell’alleanza dei fancazzisti con quell’altra forza politica, prima citata, che ha scelto di governare coi fancazzisti. Il successo elettorale di questa forza politica era scontato, essendo stata l’unica a opporsi all’africanizzazione dell’Italia e alla sostituzione etnica degli italiani da parte dei clandestini provenienti dal continente nero e dai paesi islamici mediorientali. Ecco dunque che i fancazzisti, inizialmente esclusi da incarichi istituzionali e destinati a tornare a pescare le cozze, adesso governano insieme a quegli altri, realizzando così l’aspirazione delle masse che li hanno votati a percepire sovvenzioni statali, proprio come un michelazzo, non facendo, appunto, un emerito nulla.
Il trionfo del fancazzismo è stato anche favorito in Italia dall’identificazione tra il lavoro, gli imprenditori, le dinamiche dell’economia reale e l’attuale sistema di gestione del mondo economico, da un lato, e il presunto insieme di forze malefiche, vampirismi finanziari, conventicole diaboliche, perversi meccanismi capitalistici, complottismi sullo spread e sul PIL, dall’altro lato. Questa identificazione ha portato nel disvalore le normali, eterne regole della domanda e dell’offerta, del compenso come conseguenza della prestazione lavorativa, dell’impegno personale come presupposto per conseguire un risultato. Si è così perso il concetto del lavoro come elemento fondante della società. Criminalizzata l’imprenditoria, colpito con maledizioni e anatemi l’intero sistema economico in quanto espressione delle “multinazionali”, delle “lobby”, delle “élite” e di altre polverose suppellettili ideologiche vetero-sessantottine, i fancazzisti hanno inventato universi favolistici di “democrazia diretta”, tramite entità come “la rete” (che in effetti di ghiozzi ne cattura parecchi) e altre simili pensate di pronta beva mediatica, intercettando un elettorato “digitale”, “social”, credulo nell’improvvisa e definitiva “scomparsa del lavoro”, con conseguente diritto a un’esistenza da fancazzisti mantenuti, vissuta proprio come un michelazzo, non facendo, appunto, un emerito nulla.
Occorre dunque prepararsi a una mutazione della nostra specie. L’Homo Sapiens, evolutosi nelle ultime centinaia di migliaia di anni, per mangiare ha sempre dovuto lavorare. Anche l’Homo Ergaster ha sempre lavorato, come dice il nome. L’Homo Abilis lavorava con abilità. Si è spesso parlato di Homo Faber, in senso meno paleontologico e più antropologico. Per milioni di anni, il lavoro ci ha accompagnato nella nostra evoluzione, dopo la separazione dall’antenato comune con lo scimpanzé e il bonobo. Ma adesso cambia tutto. L’ha detto il principale sociologo del fancazzismo. L’Italia avrà il privilegio di ospitare questa mutazione epocale. Si dovranno penalizzare decine di milioni di italiani, di lavoratori, di cittadini. Li si dovrà tartassare. Il bilancio rischierà la bancarotta. Ma per un fine superiore. Per l’inizio di una nuova era. L’era dell’Homo Fancazzer.
Commenti
….sto collazionando i due post di Pietro e di Adriano.
Quello di Pietro, giocato sul paradosso e quello di Adriano storicamente raziocinante.
Certo il tema è da affontare nel profondo.
Cambiano i paradigmi, le sintassi, i linguaggi, si spara a zero sulla Costituzione ….. mi prendo del tempo ( e dei commenti ) per pensarci.
Buona notte…..
Franco, il post di Adriano è una cosa seria, il mio una cosa scherzosa. Collazionali pure, ci mancherebbe, solo tieni presente che il suo è un contributo culturale, il mio un contributo ludico.
Lungi da me la tentazione di difendere il “fancazzismo” istituzionale (avendo vissuto una vita nella pubblica amministrazione so solo io quanti ne ho incontrati di questi soggetti, e più li pagavano meno facevano!!!), mi sembra doveroso aggiungere che la schiatta dei fancazzisti al governo e ancora di più nell’apparato burocratico dello Stato (che, in ultima analisi, è quello che decide) c’è sempre stata e ha contraddistinto alla grande sia la prima che la seconda Repubblica. Non si spiegherebbe altrimenti il punto in cui siamo arrivati.
La parte meridionale del Paese ha contribuito largamente alla formazione di questa categoria, e ovviamente la ragione non è etnica bensì culturale. In certe aree geografie è stata sempre ben presente (e continuerà ad esserlo) la filosofia dell'”adda pensà ò Stato” che è l’equivalente dell'””inshallah” di più antica memoria. La matrice è dopotutto la stessa. E su questa scia sono sorti persino dei movimenti giovanili.
https://www.identitainsorgenti.com/la-lettera-io-elettore-meridionale-dei-5-stelle-non-voglio-un-governo-di-salvini/
Non credo pertanto che “la partitocrazia precedente sia stata sconfitta dai fancazzisti odierni”, essendo convinta, al contrario, che al governo ci siano sempre gli stessi: sono solo cambiate le facce, ma la sostanza è identica. La domanda, semmai, è se “quell’altra forza politica” riuscirà a scalzarli oppure no, che poi mi sembra di capire che sia un po’ questa la madre di tutte le battaglie: l’Italia vorrebbe entrare, culturalmente parlando, nella grande famiglia mitteleuropea, ma per i motivi di cui sopra non ci riesce. Inutile dire che il vampirismo finanziario gioca alla grande in questa partita, anzi, alla grandissima. Il tentativo di africanizzazione dell’Italia aveva anche lo scopo di far pendere la bilancia più da una parte che dall’altra, indebolendo così gli apparati, ma per il momento tale progetto sembra essere stato accantonato, e auguriamoci che rimanga lì dov’è.
Non so se l’umanità del futuro avrà ancora tra le sue priorità il lavoro, mi sembra di capire però che tutti i segnali vadano nella direzione opposta. Sono invece convinta, ma credo di averlo già detto in svariate occasioni, che una mutazione della nostra specie sia in atto e presto si manifesterà completamente. E’ sempre stato così, in fondo. Cosa ci aspettavamo? La verticalizzazione infinita? Vorrà dire che saremo più forti al “prossimo giro”.
Credo, Rita, che dovunque in Italia, al nord, al centro e al sud, ci siano persone che hanno sgobbato una vita versando imposte e contributi elevatissimi. E persone che non hanno mai versato un “emerito nulla” e adesso fanno la sceneggiata del “chiagne e fotte”. Conosco un napoletano verace, un tempo mio collega, che ha versato importi IRPEF paurosi e contributi INPDAI e poi INPS pazzeschi. E non è colpa sua se, come per tutti, assolutamente per tutti, prima del sistema contributivo c’era il retributivo. Adesso gli toglieranno una fetta di pensione. Però il ricalcolo si fa solo da un certo importo in su. Quindi non si colpisce il retributivo in se’. Si colpisce chi ha avuto retribuzioni elevate e non è evasore. Quando si dà per scontato che chi guadagna tanto va punito di per se’ e chi guadagna poco va premiato di per se’, allora abbiamo capito in quale situazione ci troviamo. Nella storia, sono momenti precisi. Il clima è quello del “farina, festa e forca”.
Conosco anche diversi fancazzisti delle nostre parti che, non versando imposte e contributi, han sempre fatto i michelazzi, vivendo di espedienti, spendendo e spandendo, sempre in bilico tra bollettino dei protesti e Crif, non versando quasi nulla in imposte e contributi. Adesso confidano nel “reddito di fancazzismo” e poi in un trattamento pensionistico del tutto a ufo, rispetto ai loro versamenti inesistenti. Insomma, chi da formica ha riempito la collettività di quattrini c’è in tutta Italia, così come chi da cicala ha vissuto da fancazzista e oggi vuol cavare quattrini alla comunità. Nei paesi civili, a un certo punto della vita, la realtà ti presenta il conto. Ecco, oggi in Italia troppi vogliono barare sul conto.
Quanti di quelli che oggi sarebbero senza pensione o con pensione insufficiente sono vittime di situazioni o di fatti del tutto non dipendenti da loro? A questi, massimo rispetto e massimo aiuto. Ma quanti hanno veramente la coscienza a posto riguardo al lavoro, alle imposte, ai contributi, alla regolarità e all’onestà della loro posizione lavorativa, fiscale e previdenziale? Dove sta la giustizia? Dove sta l’ingiustizia? Perché non si guarda dentro alla realtà? Dopo le ultime elezioni, la risposta la conosciamo tutti.
Ovvio che anch’io conosco al sud qualcuno che ha sgobbato e versato, non sono tuttavia la maggioranza. Capisco benissimo che non sia colpa del tuo collega se è andato in pensione con il retributivo perché un tempo si usava così, così come non è colpa dei baby pensionati che ci sono costati in questi anni la bellezza di 150 miliardi di euro, non è colpa neppure di quelli che sono stati fregati dalla Fornero, né degli esodati. Non è colpa di nessuno. D’altra parte, a maggior ragione oggi che le casse dell’Inps si stanno svuotando (grazie anche alla demenziale “annessione” dell’Inpdap, studiata da non so quale genio dell’economia, sono in tanti), da qualche parte bisogna pur incominciare a tagliare i rami secchi.
Personalmente credo sia giusto che ognuno abbia indietro ciò che ha versato, il resto ricade nella categoria “omaggio di Stato”. Finché le vacche erano grasse, si poteva fare, ma adesso che sono pelle e ossa …… Non sono mai stata favorevole neppure al bonus renziano degli 80 euro, e non certo perché a me non è toccato. Ho trovato profondamente ingiusto che chi si era fatto un mazzo tanto per ottenere degli scatti di carriera alla fine prendesse la stessa cifra di chi, avendo meno oneri e responsabilità, si trovava a livelli inferiori. E’ stata un’ingiustizia, alla faccia della meritocrazia.
Altra spina nel fianco sono le cosiddette “pensioni sociali” che toccano molto spesso a chi ha lavorato in nero per tutta la vita o non ha lavorato affatto, spesso per sua libera scelta. Il vero scandalo resta comunque l’assegno sociale agli stranieri over65 arrivati in Italia grazie ai ricongiungimenti familiari, i quali non hanno mai versato un centesimo all’Inps (e prendono 448,07 euro per 13 mensilità!!!), né probabilmente al loro Paese d’origine. Ora Salvini dice di voler abolire queste “pensioni”, mi auguro che ce la faccia, visto che ci costano oltre un miliardo all’anno. Staremo a vedere.
Quanti in Italia hanno la coscienza a posto con fisco e contributi?
Ti rispondo, Pietro, con un’altra domanda: chi ha approvato la legge 183/2011, altrimenti detta “Autocertificazione”, ovvero come fregare lo Stato e vivere felici?
Tutte cose giuste, Rita. Come non essere d’accordo con te? Ma vogliamo provare a uscire dalla logica della “colpa di tutti e di nessuno” e tentare di mettere in ordine di schifosità tutte queste porcherie? Così, solo per gusto nostro, visto che le piazzate e i comizi tribunizi dei nuovi demagoghi arruffapopolo seguono obiettivi diversi. Allora, vediamo. Il top dell’orrore lo darei agli assegni agli stranieri che non han mai cacciato un euro. Chi era capo del governo quando si è stabilito? Poi le pensioni sociali. Non è previdenza, è assistenza. Siamo pieni di quattrini per tanta carità? Troppo comodo fare i samaritani con le pezze al sedere. Si calibri l’assistenza, si misuri la carità sulle risorse disponibili. Come dicevo nel commento precedente, quanti sono i meritevoli di carità, quanti invece i fancazzisti di cui sappiamo bene il mestiere materno? Chi erano i capi di governo che han fatto i samaritani coi soldi dei nostri figli e nipoti? Inoltre, le pensioni baby. Una storia vergognosa per cui non occorre chiedere chi era al governo nei periodi in cui i più sporchi giochi di partito e di potere politico hanno portato a questo scempio economico. Lo sappiamo. E ci sarebbe molto altro. Ma mi limito al tuo elenco. Ci aggiungerei i vitalizi ai politici, ma i nuovi tribuni della plebe son riusciti a fare la cosa giusta nel modo più sbagliato.
La riforma Fornero ha dimenticato gli esodati, d’accordo. Ma è stato un provvedimento che ha segnato (in realtà, ha proseguito, sia pure drasticamente) un’inversione di tendenza rispetto agli sfasci precedenti. Adesso, insieme al reddito di fancazzismo, alla flat tax, alla luna nel pozzo e alle altre promesse elettorali spartachiste dei tralalà e tiracampà, il progressivo smantellamento della riforma Fornero è imminente. Tutti (o quasi tutti) in Italia hanno oggi, andando in pensione in questi anni, un pezzo di retributivo e un pezzo ormai sempre maggiore di contributivo. Anche il conoscente di cui ti parlavo non è andato in pensione illo tempore col retributivo ma pochissimi anni fa con una massa notevole di contributivo. Ecco, invece di por mano e rimedio alle cose dette sopra, si parte dalla parte opposta. Là di quattrini ce n’è uno sfracello, qui quasi niente. Perché?
In realtà, Pietro, non si è mai voluta separare l’assistenza dalla previdenza per un motivo molto semplice: l’assistenza porta voti. Su questo sono sempre stati tutti d’accordo, comunisti e democristiani, bianchi e rossi, e adesso anche i rosé del M5s. Ma questa divisione prima o poi s’ha da fare, altrimenti non se ne esce. Vivi.
Negli anni la voce “assistenza” s’è magnata tutto quanto. Nella maggior parte degli enti pubblici territoriali, grazie all’idea di qualche genio, ormai è accorpata alla cultura, così che per quest’ultima non c’è più il becco di un quattrino. Siamo un’umanità di non autosufficienti.
In realtà, il capitalismo funziona proprio grazie al fatto che una parte di paese è ricca e l’altra è povera: quindi non è interesse di nessuno fare in modo che venga costruito un sud con una diversa cultura, ricco di infrastrutture, dove le imprese possano prosperare.
È estate, molti di noi sono in vacanza e mi sono permesso qualcosa di volutamente scherzoso e senza alcuna pretesa culturale o ideologica. In questi giorni i media ci forniscono di continuo messaggi politici impegnativi, piuttosto pesanti e spesso tesi a una certa drammatizzazione della realtà. Forse anche perché la realtà è quella che è. Anche per questo, mi sembrava opportuno tentare di sdrammatizzare un po’ e buttar giù, di getto e senza troppa attenzione alla forma, una sorta di divagazione politica di una sera di mezz’estate, così, per alleggerire il clima sempre più nibelungico che pare aleggiare sulla nostra politica. Mi scuso anzi se talvolta le locuzioni usate non sono in linea con quello che dovrebbe essere lo stile di una persona matura e posata. Ma ogni tanto qualche prestito dal linguaggio colloquiale aiuta a non prendersi troppo sul serio. Naturalmente, ho sostituto il termine più disdicevole, peraltro ricorrente, con un altro non riprovevole.
L’idea mi è venuta ascoltando una vecchia canzone napoletana. L’immagine utilizzata per accompagnare l’articolo riproduce infatti il lato B del disco a 78 giri della Fonit, in resina di gommalacca (il vinile sarebbe arrivato più tardi, con i 33⅓ e i 45 giri) che contiene questa canzone, della durata di 2:35 min. e dal titolo “L’arte ꞌe michelasso”. Gli autori erano molto noti al tempo. Furio Rendine era il compositore, oltre che protagonista di importanti attività in campo musicale (a proposito, il celebre Sergio Rendine è suo figlio). Dionisio Sguaglia (in alcune opere, come questa, è riportato come Squaglia) era il paroliere. Il lato A contiene “Na rosa senza spine”, degli stessi autori. Entrambe le canzoni sono cantate da Aldo Piacenti, anch’egli allora molto in auge, e l’orchestra è la famosa Orchestra Rizza, con il suo direttore, Piero Rizza. Per chi fosse interessato, buon ascolto.
…..cheddire, Pietro? Mi prostro appetto a cotanto senno! Mi hai surclassato, giocando sul “mio campo”, per di più!!! L’immagine di copertina, poi: Una “chicca che’llevati”!!!!
Non so se mi riprenderò, Maestro!
Nel merito, cmq, ripeto che il tema si merita davvero riflessioni profonde!
Riprenditi, Francesco, perché il Maestro, sul blog e in campo musicale, sei sempre e solo tu. Considero già un favore il fatto che abbiate pubblicato questa mia scherzosa esternazione ferragostana sui michelazzi fancazzisti e sul loro prossimo reddito di fancazzismo.
E poi amo Napoli, la napoletanità, i napoletani veraci, la loro fantasia, anche i loro sfottò. A proposito di sfottò, l’altra settimana un mio buon conoscente di Napoli, appassionato di musica napoletana, mi ha informato dell’attuale utilizzo polemico, da parte di molti suoi concittadini e nei confronti di alcuni politici campani recentemente assurti al ruolo di statisti, di questa canzone molto conosciuta a Napoli. È il tipico pezzo leggero e orecchiabile, che si presta bene, da quanto ho compreso, ad accompagnare musicalmente le immagini di quegli statisti quando compaiono in televisione a far discorsi, azzerando intanto il volume della trasmissione. Ho provato e devo ammettere che l’effetto non è male.
Sarà pure un pezzo… ludico, ma nel contenuto è una più che salutare provocazione.
Il guru da te evocato più volte, Domenico De Masi, proietta lo scenario che tu illustri in un tempo non certo vicino (si veda la… sterzata dell’ultimo libro in cui si parla dei numerosi “nuovi lavori”), ma i pentastellati il sogno di una società dell’… ozio ateniese (un ozio grazie al lavoro degli “schiavi” e degli “stranieri”) lo vogliono realizzare subito, già con legge di bilancio dell’autunno.
La… fantasia al potere!
Scrivevo nei giorni scorsi che sono nato… calvinista e morirò calvinista, ma chi vivrà vedrà.
A meno che il sogno venga arrestato dall’unica opposizione che conta: i mercati. Saranno questi i giudici.
E i pentastellati dovranno rispondere più a questi che ai propri elettori!
A meno che grideranno al complotto dei plutocratici, chiederanno nuove elezioni e avranno un consenso ancora più forte.
Il sogno di diventare tutti come i “liberi” di Atene è troppo allettante!
Che oggi il lavoro manchi e che la disoccupazione sia un problema sociale, Piero, siamo tutti d’accordo. Si potrà discutere sulle ragioni di questo stato di cose, si potranno avere opinioni diverse sulle soluzioni da trovare. Ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Però …
Esiste tuttavia un piccolo però. Poca cosa forse, che per chiarezza non andrebbe comunque ignorata. Si tratta di quale lavoro oggi manchi di più e di quale invece manchi di meno oppure non manchi affatto. Semplifichiamo e generalizziamo a livello italiano, esponendoci pure all’accusa di genericità e superficialità, ma provando a cogliere gli elementi generali e principali.
Manca il lavoro intellettuale, speculativo, mentre non manca il lavoro manuale, fisico. Il che è paradossale, visto il tanto declamato effetto sostitutivo delle macchine. Manca il posto fisso come pubblici impiegati, magari assenteisti, mentre non manca il lavoro in agricoltura e nelle attività di trasformazione e valorizzazione dei prodotti agricoli italiani. Manca l’impiego nei comparti in cui ci si illude di essere grandi protagonisti della siderurgia, della petrolchimica e delle altre attività industriali più pesanti, mentre non mancano le opportunità nei comparti dell’ospitalità turistica, delle infrastrutture alberghiere, dell’assistenza alla persona. Insomma, il lavoro manca, la disoccupazione è grave ma bisogna anche capire in che direzione muoversi.
È noto e assodato quanto la media unica fosse una delle contropartite negoziali al momento dell’entrata dei socialisti nel centro-sinistra. È noto e assodato quanto l’esplosione degli accessi universitari rispondesse a determinate istanze ideologiche. Ovvio che a questo punto, laureati e intellettualizzati, molti si indirizzino non dove il lavoro c’è ma dove il lavoro manca. Lo si sapeva, tutti lo sapevano che gli italiani si sarebbero aspettati un lavoro degno delle proprie illusioni scolastiche. E tutti sapevano che la realtà invece sarebbe stata quella in cui non tutti possono fare i colletti bianchi o gli insegnanti o i “creativi”.
Nelle nostre campagne i trattoristi sono pagatissimi. Faranno anche questo i cingalesi? Piero, anche qui, guardiamoci bene dentro, prima di preconizzare la scomparsa del lavoro. Senza attendere troppi ozi ateniesi, molti giovani stanno capendo che si può vivere bene, con pari dignità e maggior salute, anche senza birignao intellettuali e con i calli sulle mani.
Date l’ora e i riflessi non ancora coordinati del tutto. In quale direzione andare. È vero, forse di lavoro ce n’è, e senza bisogno di inventarlo. Ritorno su un mio vecchio spunto. Servizio televisivo di pochi giorni fa: un piccolo comune della Sardegna, dove si sta girando un reality made N.H di grande successo. Venti partecipanti, e un Sindaco che regala case ad un euro l’una per un rilancio di tradizioni locali, agricoltura, turismo. Cinque tra i partecipanti, olandesi, hanno accolto la proposta e già iniziate delle attività, Altro esempio: Matera. Un buon numero di donne straniere, per amore d’accordo, ma anche con spirito imprenditoriale, folgorante dal maschio latino, ma anche della bellezza della città, ci si sono trasferite da anni, tra alberghi diffusi, ristorantini e altre turisticita’. Tutti stranieri. Ritornando invece all’ultimo commento di Pietro, vorrei invece segnalare che ormai le sperequazioni salariali sono tali per cui alcuni lavori, nei servizi ad esempio, non garantiscono più la sopravvivenza. Ridare dignità al lavoro, anche ai più umili, vorrebbe dire far corrispondere adeguato compenso. Io non so, basta fare un giro di buonora in città per vedere che tra pulizie di uffici, smerigliate alle vetrine dei negozi, gli addetti sono ormai tantissimi, per immagginare quanto portino a casa alla fine del mese. Ma ormai tra lavori specializzatissimi e umilissimi c’è una tale differenza euro che a me pare che questo rappresenti il problema principale. Non c’è bisogno solo di trattoristi o di non so quanti mungitori indiani, che anche lì con l’automazione ne basta uno. Ecco, tra romantiche signore o televisivi concorrenti o assistenza alla persona, o addetto alle pulizie, credo si debba trovare quella via di mezzo, che non c’entra niente con l’assistenza, in modo da garantire quella sopravvivenza che ha significato anni di lotte per tutti i lavoratori. Anche nell’industria, prima, seconda o terza che sia, un tempo gli operai lavoravano quindici ore al giorno, bimbi compresi. Poi, fortunatamente i tempi sono cambiati, e lavorare in una fabbrica di automobili ha voluto dire per l’operaio potersela anche comprare. Adesso si sta andando nella direzione opposta. E questa mutazione non porterà niente di buono, una pace sociale a queste condizioni sarà impossibile. Del resto è impensabile immaginare donne organizzate, anche di una certa età, scendere in piazza con secchi e spazzoloni al posto di tute blu. Insomma, a me pare di assistere ad un’involuzione di diritti che garantitissimi a pochissimi e nagati ai più, solo perché a sostituire una donna delle pulizie non ci vuole niente. E se mai sopravviveremo a questi cambiamenti epocali sempre più assisteremo all’emergere di nuove schiavitù. E non vuole essere il solito discorso di sinistra, ma solo la previsione che nuovi assalti ai forni e prese di fortezze potrebbero verificarsi di nuovo. Anche per noi italiani.
Citando i comparti dell’agricoltura, della trasformazione dei prodotti agricoli, del turismo e dell’assistenza alla persona, mi limitavo a prendere atto di dinamiche economiche già operanti in assenza del minimo indirizzo pubblico. Che questi settori non siano tutti rose e fiori lo sappiamo. Ma ci sono ancora più petali che spine. Altrove è ormai un roveto (senza more).
Comunque, Ivano, hai ragione a riprendere il tuo discorso sulla difesa del territorio, sulla tutela dei beni culturali e sul recupero di realtà architettoniche e urbane in degrado. Qui però gioverebbe proprio una intelligente opera di facilitazione economica pubblica o di collaborazione tra pubblico e privato. Quello che mi stupisce è che basterebbe guardarsi in giro, anche solo in Europa, per vedere come si fa.
Agricoltura di qualità, turismo e beni culturali ci darebbero ritorni d’investimento enormi se, appunto, ci investissimo a sufficienza, invece di continuare a scambiare l’Italia per una dickensiana o sironiana landa di opifici industriali, capannoni artigianali e discariche, riversando in questo pozzo senza fondo enormi quantità di denaro, dragate dalla criminalità mafiosa, dall’evasione fiscale e dalla sopraffazione degli interessi privati su quelli pubblici.
Crederò sempre nel lavoro, nella forza etica e formativa del lavoro, nell’impulso economico del lavoro nella società, nella priorità che al lavoro la politica dovrebbe sempre dare. Il lavoro manca anche perché è finito in fondo alle priorità della partitocrazia. In cima a queste c’è invece la caccia ai voti di questa o quella corporazione economica, in un orizzonte temporale sempre risolto nell’imminente confronto elettorale.
Il reddito di fancazzismo, la flat tax, la controriforma Fornero e certe altre guaglionate non hanno l’obiettivo di puntare sul lavoro ma di fare man bassa di voti. Quelli di prima han fatto lo stesso. Quelli di prima ancora, pure. L’unica differenza è che adesso, forse, avremo meno clandestini da mantenere.
Pietro, altro esempio: nelle case di riposo esistono ormai più contratti, tarati al ribasso, per operatori con le stesse mansioni. Assunzioni antecedenti, con contratto Sanità, a fronte di nuove assunzioni con contratti Uneba e altre sigle. Così che lavorano uguale prendendo molto meno e diritti diminuiti. E il clima teso, con rivalità, competizioni e lassismo è all’ordine del giorno. Questo a proposito di dignità.
Di sicuro, Pietro, in Italia è mancata quella “formazione professionale” che invece caratterizza l’offerta educativa in Germania: quanti laureati, da noi, in indirizzi senza sbocchi lavorativi!
L’esempio della Germania mi pare molto valido, Piero.
Inoltre, da noi ci sono corsi di laurea di mera gratificazione psicosociale.
Eh già, noi siamo i più furbi di tutti: dal diciotto politico in poi, abbiamo proprio capito tutto. Cinquant’anni di grande furbizia ideologica. Non solo la fantasia al potere: anche la fantasia sui banchi di scuola e la fantasia sui posti di lavoro.
Sarebbe come se in un esercito si promuovessero tutti al grado di colonnello (laurea breve) o generale (laurea magistrale). E poi si innalzassero geremiadi perché non ci sono abbastanza reggimenti oppure brigate, divisioni, corpi d’armata.
Giusto stamattina ho avuto una lunga conversazione con un conoscente che circa vent’anni fa si è trasferito a La Habana (per motivi ideologici, è un castrista puro) e torna in Italia ogni anno un paio di settimane in visita parenti. Tra le altre cose siamo andati sul discorso scuola, istruzione, università. Premesso che La Habana “raccoglie” centinaia di studenti universitari da tutto il Sudamerica per via della serietà e qualità dei suoi corsi, funziona così: non è lo studente che si iscrive all’università ma è l’università che iscrive gratuitamente lo studente al corso che decide l’ateneo; c’è così l’anno che “servono” tot medici e vieni iscritto a medicina, quello in cui servono tot ingegneri, o tot insegnanti e così via; se vuoi fare quello che ti pare puoi, ma paghi anche la carta igienica in bagno, e perciò non lo fa nessuno. In questo modo non esiste la figura del “laureato-disoccupato”, che in Italia è invece la norma, e si esportano i laureati in tutto il Sudamerica.
Me lo vedo un siffatto sistema nel Belpaese: i primi a fare ricorso sarebbero ovviamente i Baroni che imperano indisturbati da sempre in compagnia delle loro famiglie; a seguire le famiglie reclamerebbero il “diritto” del pargolo o della principessina a fare “ciò che piace” perché siamo in un paese democratico dove ognuno “si realizza” come crede; da ultimo si farebbe sentire l’indotto che campa su pubblicazioni con raccomandazione e vendite pilotate.
Questo Paese non ha bisogno di cambiare le leggi (casomai di dimezzarle) ma la testa.
A Rita
Previdenza assistenza
La chiarezza nei conti non è mai stata voluta dalla politica.
Previdenza: come potrebbero giustificare il fatto che i contributi versati eccedono rispetto al costo delle pensioni erogate.
Sarebbe la fine dei giochi.
Assistenza: dovrebbe essere a carico della fiscalità generale.
La mia pensione, continuando a lavorare come libero professionista, ME LA PAGO IO
non le “risorse” di Boeri e della sinistra.
Rita, nel nostro elenco di orrori politici ed economici sulle pensioni, abbiamo dimenticato una delle cose più importanti, che forse oggi è quella che pesa di più in senso negativo. Quando, anche su forte pressione sindacale, i governanti degli anni Sessanta e poi in parte degli anni Settanta hanno fatto deragliare il sistema pensionistico fingendo di credere che si potesse avvicinare l’importo di pensione alle ultime retribuzioni percepite (un assurdo logico, prima ancora che contabile), hanno dato inizio al disastro. Le precedenti “marche” non creavano questo problema. E questo l’abbiamo detto. Quando successivamente, sempre per catto-sinistrismo ideologico, i successivi governanti hanno introdotto le pensioni baby, lo sfascio è stato totale. Uno sfascio noto, voluto e mirato soprattutto a creare per il personale statale, soprattutto in certe situazioni, un’area di privilegio vergognosa. E pure questo l’abbiamo detto. Per cui, attenzione a certi ex statali che oggi stanno belli quatti ma sono privilegiatissimi. Conosco insegnanti sulla settantina che da oltre vent’anni percepiscono la pensione e per altrettanti anni (a Dio piacendo) la percepiranno. Abbiamo anche detto quanto il samaritanesimo evangelico, a spese però del nostro Stato e non di quell’altro, ci costi e ci sveni a causa degli assegni agli stranieri ricongiunti (e non solo), che all’Italia non han versato un euro, alla faccia delle scempiaggini di Boeri. Insomma, tutto questo l’abbiamo detto.
Che cosa, di fondamentale, non abbiamo detto, Rita? Personalmente credo che la riforma Fornero sia stata necessaria, dolorosa e tecnicamente non impeccabile (esodati). Ma sia stata comunque indispensabile per evitare che intorno al 2030 il sistema pensionistico italiano collassasse. Per cui, certe promesse elettorali sono masaniellate, ciceruacchiate e guaglionate riprovevoli. Certo, nel 2011 le cose si potevano fare meglio. Ma il punto è un altro. È la riforma Dini del 1995. Fu il primo tentativo di passare al contributivo. E fu, in ciò, cosa buona e giusta. Ma si commise l’errore di far proseguire col retributivo chi aveva, a fine 1995, almeno 18 anni di contributi. Quello fu l’errore madornale. Che, ancora una volta, fu fatto su pressione demagogica e spartachista, alla faccia dei conti economici. Solo con la riforma Fornero, per tutti e dal 2012, si è passati al contributivo. Allora, Rita, eccoci al punto. Quanti sono gli italiani che hanno devastato le casse statali percependo pensioni col retributivo dal 1996 al 2011? Perché non si colpisce lì? E, ovviamente, perché non si colpisce nelle altre ipotesi da noi in precedenza indicate? Vogliamo giustizia per tutti? Allora, tutti col contributivo, senza distinzione. Personalmente, avendo mancato di poco i 18 anni nel 1995 e avendo un contributivo molto “forte”, ne sarei felicissimo, accettando tutti i tagli del caso dalla fine del 2020, quando andrò in pensione a 67 anni.
Premetto che a me, che sono del sud, questo testo ha fatto ridere tantissimo. Naturalmente, nonostante l’intento provocatorio, giocoso, ecc. emergono dei problemi. A mio sommesso avviso, il reddito di cittadinanza può continuare ad esistere ma deve essere connesso a politiche del lavoro serie, che non si sono mai viste e che il paese appare incapace di progettare.
Il Reddito di cittadinanza costa di più nella sola città di Napoli che non in tutta l’Italia del nord. Disparità, in qualunque modo la si pensi, penso ai 40 miliardi di fondi europei destinati al sud dopo tanti soldi che non sono stati utilizzati per incapacità, credo debba far riflettere non solo rispetto al passato, ma in prospettiva. A meno che Draghi non sia più bravo dei suoi predecessori.
Tutti si allineeranno verso una elargizione universale, per un criterio, nn fosse per altro, di riduzione delle tensioni, ma dipende dalla base di partenza: gli esperimenti africani hanno fruttato risvegliando la microimprenditorialità, man mano che ci si allontanava dalla soglia di pura sopravvivenza. Il sud è ricco di risorse e povero di giustizia sociale (detto da un uomo di origine mista, ma comunque del sud).
Tanto per definire il contesto: lo stupendo post di Pietro Martini datava il 12 di Agosto del 2018, un’altra “era geologica”, per il blog ma anche per …. il pianeta, adirittura a.c.n. (ante covid natum).
Ora l’amico Peppe Pepe, ci fa questo regalo e, “comesennientefiuss” ci butta li un rewind …. “de niente”!
E’ un bel “gico” e, devo dire, mi piace assai e, aspetto solo che il diretto interessato (Pietro Martini, che, con le memorie storiche, bisogna lasciarlo stare!) rientri in gioco.
Bella palla, Peppe Pepe!
Ringrazio molto il Signor Peppe Pepe per l’attenzione dimostrata e mi fa piacere che si sia divertito leggendo il mio testo. Era per l’appunto uno scritto con questo principale obiettivo, anche se poi diversi commenti sono stati un poco più seri.
Non sono un esperto di economia politica o di materie simili, per cui non mi permetto di entrare nel merito effettivo della frase contenuta nel commento di oggi alle 08:04 del Signor Pepe: “In realtà, il capitalismo funziona proprio grazie al fatto che una parte di paese è ricca e l’altra è povera: quindi non è interesse di nessuno fare in modo che venga costruito un sud con una diversa cultura, ricco di infrastrutture, dove le imprese possano prosperare”. Aggiungo solo che, sia pure da profano di certi studi e senza specifiche competenze nel merito, non avrei escluso un funzionamento del capitalismo e anche un suo interesse economico in una realtà (italiana in questo caso, però anche più generale) con minori contrapposizioni tra una parte geografica del paese più ricca e una più povera, cioè proprio in un contesto nazionale in cui la parte meridionale del paese potesse avere una diversa cultura, una ricchezza di infrastrutture e un terreno in cui le imprese riuscissero davvero a prosperare. Insomma, forse per mancanza di preparazione su questi aspetti, non avrei pensato che per forza, in una logica capitalistica, il meridione dovesse restare nelle condizioni attuali. Anzi, avrei detto il contrario, proprio in termini di migliori possibilità di sviluppo dei mercati, della più forte libera iniziativa imprenditoriale e quindi di una migliore società capitalistica comunque definita e ipotizzata (esistono tante forme di capitalismo, mi pare, da quanto sento dire, e personalmente penserei a una società regolata anche da contromisure sociali di promozione e solidarietà, ben diversa da un certo capitalismo d’assalto e di rapina degli ultimi decenni).
Vedo poi il commento del Signor Peppe Pepe di oggi alle 08:15: “A mio sommesso avviso, il reddito di cittadinanza può continuare ad esistere ma deve essere connesso a politiche del lavoro serie, che non si sono mai viste e che il paese appare incapace di progettare”. Intanto, mi piace molto il “sommesso avviso”. I blog e il web traboccano di toni urlati e sguaiati e lo stile di relazione, anche sui social media, proprio in quanto merce rara, non può che essere apprezzato. Nel merito, concordo pienamente sul fatto che oggi in Italia le politiche del lavoro serie manchino quasi del tutto e che oltretutto sia assente pure una valida progettualità in proposito per il futuro. Non ho letto le trecento e passa pagine del documento presentato oggi in sede europea e non posso quindi escludere che forse qualcosa lì ci sia. Vedremo. Per adesso non saprei che dirne. Infine, sul mantenimento del reddito di cittadinanza così come è oggi, devo dire che proprio mi sembra quello da me definito nel post di tre anni fa. Soprattutto per l’incapacità istituzionale a controllarne la corretta erogazione. Ogni tre per due emergono realtà scandalose. Si vedano i mafiosi percettori di tale reddito scoperti nei giorni scorsi.
Ringrazio Francesco per le sue parole così cortesi e condivido con lui il fatto che, da tre anni fa, in Italia è proprio cambiato parecchio, in politica e in molto altro. Sembra un altro mondo. Forse non solo per il Covid.
E’ certo un “Cicero pro domo sua”, ma è eccaduto più di una volta che, grazie alla curiosa attenzione, serietà d’approccio di frequetatori di questa piazza, si siano ripresi post/commenti di tempi addietro, che conservavano tutta la dignità di ….parole assolutamente non buttate al vento.
Sono redattore da sempre di CremAscolta e mi fa davvero piacere fare questa considerazione.
Cordialmente, a …. todos los amigos!