Ė una occasione da non perdere la visita alla mostra che in questi giorni si tiene in Palazzo Ducale dedicata alle “Pietre di Venezia”. Si tratta della prima grande rassegna riservata a John Ruskin (1819-1900), ma ci sono voluti più di 100 anni per poter pubblicamente ammirare le capacità d’osservazione e cogliere il profetico impegno che il grande visitatore inglese seppe rivolgere alla salvaguardia della città lagunare. La vita e le opere di questo artista e primo critico d’arte sono grandi poiché è riuscito, descrivendo e dipingendo cose terrene, a farci scoprire il trascendente. Nei suoi ben 11 soggiorni a Venezia ha raccolto e immortalato le testimonianze millenarie di un centro abitato unico e sublime, miracolosamente sopravvissuto nell’ignorante indifferenza, tra lo sfruttamento e il degrado di intere generazioni. Grazie a quanti hanno saputo coglierne e rispettarne l’estrema bellezza, con l’incalzante scrittura e l’incessante lavoro artistico, testimoniato dai tanti disegni immediati, precisi fin nel più estremo dettaglio, Ruskin ha aggiunto (come è stato ben detto) un monumento al monumento. Le sue intuizioni riguardano non solo l’aver saputo leggere, descrivere e riprodurre le architetture in modo realista, ma l’uso di un tono coinvolgente, equidistante dall’emotività come dalla fredda descrizione fotografica, che si è sposato alla volontà d’esser riuscito a interpretare e far rivivere l’essenza spirituale della materia. L’antologia figurativa ruskiniana rintraccia e immortala ogni angolo delle architetture gotiche veneziane. Archi ogivali, rosoni, bifore, fregi floreali vengono riprodotti con l’uso di tutte le tecniche pittoriche ( penna, bulino, acquarello, olio, matita). Si concretizza una visione culturale d’insieme che è religiosamente antirinascimentale, preraffaellita, intrisa di romanticismo, pervasa da realismo antirazionalista, un lavoro raffinato e paziente, una raccolta intesa a lasciarci, attraverso piccoli particolari, la consapevolezza di eterni capolavori. Sommessamente, senza proclami, giungono da queste opere precisi avvertimenti che indirizzano l’osservatore alle tante problematiche connesse: il civile dovere alla corretta salvaguardia, il dolore per l’incuria, l’invito al recupero. La sensibile attenzione non è rivolta solo alle architetture. Le considerazioni premonitrici investono anche “… il paesaggio (che) fino ad oggi trascurato…ora sembra ci stia a cuore, in parte per i nostri errori, in parte perchè presto sparirà” (Modern Painters 1856). Trovano così attrattiva le bellezze naturalistiche offerte delle catene montane, la singolarità delle nuvole, la fragilità delle foglie che si riproducono in altrettanti capitoli, nei saggi dedicati ai cieli, alle alghe, alle conchiglie. Può apparentemente apparire strana la speciale empatia con William Turner . L’ammirazione dell’acquarellista iperrealista per il padre indiscusso della modernità pittorica, la sua difesa accanita e audace contro il mondo accademico, in favore del “primo informale” trovano ragione nell’unicità d’intenti, nella complementarità delle vedute. Ruskin mette in evidenza la fragilità delle forme materiche sciogliendole nella liquidità delle tempere, cogliendo i più microscopici particolari; Turner stempera i colori dei suoi oli in grandi tele, mostrando l’energia esplosiva e macrocosmica degli elementi, nelle spumeggianti mareggiate, nelle nebulose mattinate. Gli artifici neoclassicisti e storicistici vengono così spazzati via dalla prorompente vitalità di questi nuovi, veri antesignani della pittura moderna.
Commenti
Grazie, Walter, per la segnalazione e il bell’articolo, che mi porterà alla mostra quanto prima (vedo che chiude il 10 giugno).
Attualissimo, Ruskin. Ho una vecchia traduzione di Tomei delle sue Pietre e oggi pomeriggio, letto il tuo post, mi son messo a riscorrerle. Mi sembra che molte riflessioni valgano anche per la disumanizzazione attuale: la “degradation” oggi ha cambiato vittime ma ancora avanza. Etica ed estetica dell’acquerello, goticità e venezianità, Turner e veggenza: grande mostra. Dovremmo avere meno politici e più artisti.
Martini, personaggio interessante Ruskin. Dopo faticosa ricerca ho appena trovato anch’io una vecchia edizione in cofanetto di Vallecchi del 74, a traduzione Tomei, che comprende anche Mattinate Fiorentine tradotto da Giglioli. Cofanetto che non so fino a che punto ho aperto, ma si sa, non tutti i libri che si acquistano poi si leggono. Men che meno se in giovane età, almeno per quanto mi riguarda. Quindi questa segnalazione di Venchiarutti , e il Suo intervento, mi hanno ridestato la curiosità, oltre a ricordi che tornano alla mente. Da ieri sera ad esempio sto pensando a Fontane di Roma, questo il titolo che ricordo, che mi rimanda naturalmente a Respighi, come I pini di Roma, e lego queste rimembranze proprio a disegni e ai dagherrotipi di Ruskin. Ma evidentemente mi sbaglio, anche se i disegni romani, come le fotografie sono molti e li ho trovati. Dei Pini e delle Fontane non ho trovato tracce significative, almeno non un corpus a sé stante. Evidentemente questa correlazione esiste solo nella mia mente. Però cercando in rete ho trovato una pubblicazione proprio dei disegni romani a cura di un certo Colonnese da cui ricavo questo commento che mi ha incuriosito: “Eppure Ruskin si rivela refrattario e critico verso monumenti e artisti unanimemente osannati, mantenendo negli anni un ricordo di Roma sostanzialmente negativo, legato certo allo squallore generale, ma anche al suo stato d’animo segnato dalla malattia e incline alla depressione.” Ecco, questo commento mi ha fatto venir voglia di approfondire la conoscenza dell’uomo e dell’intellettuale più che dell’artista. Buona giornata, e sia chiaro, lungi da me il voler far credere di essere una persona colta. Non lo sono affatto. Ho solo voluto condividere dei vaghi ricordi, nostalgici, arrivato ad un’età dove riaffiora il tempo passato, e dimenticato, a illanguidire i pensieri del presente. E queste due ultime righe che ho appena scritto sono naturalmente un’altra bella cazzata, oltre alla confusione nei ricordi. La senilità sempre gioca brutti scherzi: ai sentimenti e alla penna.
Mi commento da solo. Respighi, da quanto ho trovato, difficilmente conosceva i disegni di Ruskin, anche se in frammenti in rete trovo spesso i due nomi accostati, nonostante l’anagrafe. Quindi non c’è nessuna correlazione tra Pietre di Venezia, Fontane e Pini. Anche se le tre parole, insieme, non stanno neanche male. E anche le Mattinate fiorentine ci starebbero bene.
Sono piuttosto ignorante su Ruskin. Da giovane ero inciampato in lui abbastanza casualmente, venendo da qualche lettura sul mercantilismo e sull’industrialismo inglese di quel tempo e sui movimenti, sociali e artistici, che si erano sviluppati di conseguenza. In pratica, anch’io inizialmente ho incontrato più l’uomo impegnato civilmente che l’artista. Un personaggio notevole, ho capito poi, anche se un poco scostante e ipocondriaco negli ultimi anni. Il vecchio libro delle sue Pietre l’ho trovato tra i vecchi volumi di mio padre, un’edizione romana di Carboni piuttosto compulsata e gualcita. Girando le pagine si starnutisce, niente di intellettuale. Mi son fatto l’idea alquanto provocatoria che la Venezia di Ruskin (come altri suoi luoghi e momenti artistici) sia qualcosa di bellissimo e onirico in opposizione alla Manchester della money-making-mob, come la chiamava lui. Per questo credo che sia attualissimo, con il suo concetto di un’arte ancorata all’elemento naturale e alla visione etica. Proprio ieri ho sentito dell’enorme nave da crociera arenatasi a poca distanza dal Palazzo Ducale, che ospita la mostra. Ecco, appunto.