DALLA “SCUOLA” AL “LABORATORIO”
Concluso il percorso esplorativo, ora arriva… il bello (e il difficile): che cosa possiamo fare per il nostro territorio?
È l’obiettivo che ci siamo proposti fin dall’inizio: acquisire gli strumenti di base per decifrare il nostro tempo per poi provare (almeno) ad applicarli a casa nostra.
Una “scuola”, la nostra, e nello stesso tempo un “laboratorio”, un “cantiere”.
Come internazionalizzare le nostre aziende, in altre parole, “portare il mondo a Crema” (importando idee, competenze finanziamenti a progetti innovativi) e “portare Crema nel mondo” (esportando prodotti e servizi migliori e competitivi), secondo la felice espressione del prof. Giovanni Righini? Come cioè valorizzare le opportunità offerte dal processo di globalizzazione in atto?
È questo uno degli interrogativi che ci ha lasciato in eredità il corso edizione 2017 sulla globalizzazione.
Come sfruttare a livello territoriale lo straordinario valore aggiunto che ci mette a disposizione la rivoluzione digitale che sempre più si sta imponendo oggi?
È l’input che ci suggerisce il primo modulo (che si è concluso venerdì 2 marzo con la lezione del prof. Andrea Canidio sulla blockchain) del secondo corso, edizione 2018.
Le tecnologie digitali, certo, non risolvono tutto (pensiamo all’ipotesi di lanciare Crema al centro della green economy a livello nazionale), ma potrebbero costituire un prezioso supporto sia per internazionalizzare Crema e territorio, sia per attrezzare le nostre imprese perché sempre più siano all’altezza delle sfide del mondo globalizzato e, magari, potrebbero diventare una opportunità per tanti giovani talenti “inventori” di startup innovative, col sostegno dell’Università e di Reindustria, fosse pure solo per accompagnarli fino alla (quasi) inevitabile vendita del know-how a un grande gruppo.
Potrebbero rappresentare un prezioso supporto per la nostra agricoltura orientandola verso quella che viene chiamata agricoltura “di precisione” che promette non soltanto una maggiore produttività (terreni mappati con le tecnologie Gps, con semi dosati metro per metro, col dosaggio di acqua goccia per goccia in ogni punto del terreno secondo necessità).
Il Dipartimento di Ricerca Operativa del Polo didattico e di ricerca dell’Università degli Studi di Milano con sede a Crema ha già elaborato delle ipotesi di soluzioni relative a determinati servizi pubblici: è possibile riprenderle e verificarne la fattibilità e la sostenibilità?
Quali strade intraprendere, infine, perché il Dipartimento di Ricerca Operativa di cui prima, un unicum in Italia, possa rimanere a Crema come una “iniziativa interuniversitaria”, considerato che l’Università degli Studi di Milano ha deciso di chiudere la sede di Crema entro il 2020, e fare di esso un piccolo polo di eccellenza, magari a livello internazionale?
Ecco, allora, il secondo modulo del corso che avrà inizio il 9 marzo, sempre presso la Sala Cremonesi (museo civico di Crema) e sempre alle ore 21, destinato a tutti coloro che, nel ruolo di amministratori o di semplici cittadini hanno a cuore il futuro – soprattutto per i nostri giovani – del nostro territorio.
Si tratta, naturalmente, di un percorso introduttivo: non si entrerà nello specifico del territorio cremasco, ma sarà comunque una importante occasione per un confronto proficuo con tre accademici che ci daranno suggerimenti utili a un rilancio di un territorio come il nostro.
Ecco le tappe del nuovo percorso:
MODULO 2: LE POSSIBILI RICADUTE A LIVELLO LOCALE DELLE TECNOLOGIE DIGITALI
TEMA |
RELATORE |
DATA |
Lezione 1 Innovazione digitale e disuguaglianze territoriali. Perché è necessario creare periferie più competitive. |
prof. Giancarlo Corò, docente di economia applicata presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia |
Venerdì 9 marzo |
Lezione 2 Come costruire una strategia di sviluppo nel territorio |
prof. Angelo Di Gregorio, docente di economia e gestione delle imprese presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca |
Giovedì 15 marzo |
Lezione 3 Siamo diversi, ci vogliono uguali, dobbiamo restare diversi |
prof. Paolo Preti, docente di economia presso l’Università Bocconi. |
23/03/18 |
Innovazione digitale e disuguaglianze territoriali.
Perché è necessario creare periferie più competitive.
(abstract del prof. Giancarlo Corò)
Dopo anni di dibattiti su globalizzazione e rivoluzione digitale, che avrebbero dovuto annullare le distanze e rendere oramai indifferente dove vivere e lavorare, ecco che la geografia si vendica, riproponendo in una versione mai così acuta l’eterno conflitto fra centro e periferie. Questa nuova frattura – diventata evidente anche con l’affermazione di movimenti populisti nelle aree deboli delle economie avanzate – è in particolare il risultato della centralità dell’innovazione digitale, che sta ridisegnando le convenienze localizzative, tornando a premiare le metropoli più aperte e meglio attrezzate a intercettare i nuovi flussi globali del capitale umano, tecnologico e finanziario. È così che alcune “Alfa City” come San Francisco, Boston o Londra diventano hub dell’innovazione sempre più interconnesse alle reti internazionali. Tuttavia, se un tempo il successo delle città maggiori generava effetti a cascata anche in periferia e nella rete delle città minori del Paese, oggi tale legame si è interrotto. Semmai, il processo si è invertito e la sottrazione selettiva di risorse alle periferie – a partire dai migliori talenti – genera il loro impoverimento relativo. Pur senza arrivare ai casi estremi delle Apocalypse Town americane come Detroit o Cleveland, questo problema non ci è affatto estraneo. Pensiamo a come lo storico divario fra Nord e Sud dell’Italia si sia approfondito proprio negli ultimi anni. Oppure come Milano stia progressivamente assorbendo dalla sua vasta periferia industriale – che si estende da Venezia a Torino – i servizi più qualificati: fiere, finanza, alta formazione, centri di innovazione, sedi centrali delle grandi imprese. Si tratta di processi che tendono ad autoalimentarsi, con effetti sugli investimenti, la qualità dell’occupazione, i valori immobiliari delle città minori.
La questione territoriale dovrebbe dunque tornare priorità dell’agenda politica. Evitando tuttavia di incorrere nell’errore che in Italia conosciamo fin troppo bene: ritenere che la semplice redistribuzione delle risorse effettuata al centro possa riequilibrare i divari nelle capacità di sviluppo. Le periferie possono invece diventare territori competitivi solo specializzandosi in produzioni intelligenti, rafforzando le connessioni fra loro e con i centri metropolitani e, soprattutto, investendo in cultura e istruzione superiore. Guardando ad alcuni casi di successo – come il Research Triangle in North Carolina, l’area della Ruhr in Germania, Galway in Irlanda, ma anche l’Alto Adige in Italia – possiamo concludere che le “periferie competitive” funzionano grazie ad investimenti della comunità per creare e migliorare le università locali, collegarsi alle reti nazionali e internazionali, diventare accoglienti per imprese multinazionali e per i flussi del capitale umano qualificato.
Giancarlo Corò
Commenti
Interessante il titolo della terza lezione…
“Siamo diversi, ci vogliono uguali, dobbiamo restare diversi”.
Auguri a tutte le ” Shure “…
Sul termine “Donna “, ci sto ancora lavorando.
E’ il percorso, Graziano, per noi decisivo: se ci siamo avventurati in questa “scuola di educazione all’economia” è perché abbiamo l’ambizione di stimolare un processo che potrebbe essere destinato a dare un “futuro” al nostro territorio, un futuro soprattutto alle nuove generazioni.
Un grato grazie per le lezioni di economia.
L’appuntamento di giovedì scorso, Graziano, è stato particolarmente stimolante nella direzione di una programmazione del nostro territorio: il prof. Angelo Di Gregorio ci ha detto senza mezzi termini che non basterà la cosmesi a trainare la nostra economia, ma ci vuole un vero e proprio “polo di eccellenza” da individuare, un polo che sia in grado di richiamare investitori e personale qualificato.
Indicazioni in tal senso mi aspetto anche dall’ultimo appuntamento, quello di venerdì prossimo, 23 marzo, dal prof. Petri.
Poi… dovremo rimboccarci le maniche perché il nostro futuro, ci piaccia o no, è in qualche misura nelle nostre mani.