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ADRIANO TANGO

Alba e tramonto – Emilio D’Ambrosio

Emilio D’Ambrosio ci affida la sua testimonianza mediante ebook quale mezzo vitale e diretto per affrontare un tema quasi innominabile, o accolto da scongiuri: la morte.

Basterà tuttavia leggerlo, già a partire dalle prime pagine, per capire che la sua visione, quella che vuole trasmetterci e spera divenga cultura diffusa, non è quella di un evento terminale che recide come una cesoia la storia di un individuo, togliendole, in un istante, o in un lento protrarsi di decadimento, la propria significanza.

Al contrario l’evento prende il senso di un compendio, e se questo è correttamente ed umanamente condiviso assume il valore di un affettuoso atto collettivo di saluto nel passaggio. Notare che in ciò l’Autore non rimarca alcuna valenza religiosa.

E allora l’immagine di ineluttabilità e terrore che la parola morte ci ispira si sgretola. Del resto Emilio stesso la sostituisce esplicitamente con quella di “non vita”. La visione ritorna in citazioni suggestive come questa: “Nella locandina funeraria, il ricordo, la sua scomparsa in un viaggio senza ritorno con un messaggio del veliero che annuncia ‘Non ci sono morti: È la bellezza. È la vita’”.

La trattazione si dipana su aspetti tecnici di buona gestione, sul ruolo di figure istituzionali, familiari, di volontariato, che emergono dal suo scritto non come portatori di atti caritatevoli, ma di attori collaboranti alla stesura di un riepilogo della vicenda più intensa di significati che esista: la vita umana.

Poi pone dei punti fermi sull’iter che ha portato all’attuale visione del vero rispetto della vita nella fase più delicata, con asserzioni forti e nette come questa: “Si può affermare che la sedazione terminale/sedazione palliativa è una procedura terapeutica che appartiene alle cure palliative da praticare alla fine della vita che è eticamente lecita in entrambe le principali prospettive etiche presenti nell’attuale dibattito bioetico”.

E si spinge D’Ambrosio a prese di posizione che rispecchiano lo spirito maggioritario, non certo universale, del blog, quali: “Prima o poi arriveremo anche ad approvare per legge la facoltà di ricorrere al suicidio assistito. Ci vorrà tempo. Forse molti anni… ma arriveremo anche noi”.

In una seconda parte, per nulla scollegata, stringe il campo, con massimo apprezzamento, sulla realtà locale assistenziale, centrando il discorso sulla “RETE CURE PALLIATIVE di Crema”: un’eccellenza.

Per quanti ora si chiedano se Emilio abbia scritto un trattato teorico, un accurato report su fatti, Strutture e legislazione e sul momento storico-cultuale inerente il tema del fine vita, non mi resta che rispondere: “bisogna conoscerlo”. Conoscerlo per raccogliere le sue testimonianze che sono una cosa sola con le sue emozioni, per capire che non si è presentato su questo filo sottile di confine armato della corazza del tecnicismo, delle difese ed espedienti anti burn out, ma come uomo, con le sofferenze che ne ha tratto e le gioie di condivisione che ne ha ottenuto.

Grazie Emilio.

           

ADRIANO TANGO

07 Feb 2018 in Senza categoria

12 commenti

Commenti

  • Conosco la squisita sensibilità etica di Emilio D’Ambrosio, una sensibilità che dimostra anche in questo ebook che io ho avuto l’onore di leggere in anteprima.
    Una sensibilità etica rara nel nostro tempo in cui a contare è ben altro e chi soffre è lasciato ai margini.
    Ci vuole un “rovesciamento di valori”, ma non quello auspicato da Nietzsche.
    E D’Ambrosio, con la sua sua “testimonianza” diretta, col suo attivismo vulcanico (senza prediche, ma con l’azione), lo sta incarnando.
    Che il suo sia un… exemplum contagioso: la prima rivoluzione la deve fare ciascuno di noi, nella sua vita quotidiana, nelle sue relazioni, nella sua attenzione nei confronti di chi ha più bisogno…

  • ………………Speranza ?

  • Aldous Leonard Huxley nel suo “l’isola” mostra uno dei protagonisti che, reduce dal capezzale di un’agonia in ospedale, ringrazia la famiglia del defunto per il privilegio accordatogli nella partecipazione all’evento. Mezzo secolo è passato, Huxley era piuttosto “avanti”, ma le cose non sono andate nello stesso senso. Vediamo di recuperare. Personalmente, date le distanze, non ho potuto assitere alla fine di nessuno dei miei genitori. Mia madre è morta mentre tornavo a Crema per una “pausa di lavoro” mentre sembrava in apparente miglioramento (Sorrento), per mio padre avevo un biglietto aereo prenotato ogni fine settimana (Bari). Non ho fatto in tempo, finito i venerdì, ma non ho rimpianti, mi è bastata quell’ultima calda stretta di mano, e anche a lui che era un guerriero, ne sono sicuro, ma l’Umanità è variegata! Personalmente con la morte ho convissuto. In occasione di un incidente in cui ho prestato soccorso mi sono stupito quando mia moglie mi ha confidato “non avevo mai visto un uomo morire”. Gravi lacune, anche per la nuova generazione.

  • Dalla presentazione dello spettacolo “Un alt(r)o Everest “:
    “…Prima o poi dobbiamo fare i conti: il lutto, la perdita, la mancanza…
    E quel dialogo silenzioso e profondo che continuiamo ad avere con le persone
    che non sono più con noi ma che in qualche modo…
    continuano a essere con noi. “

  • Questa mattina, Emilio, ho incontrato una persona che da quattro anni sta soffrendo a causa di una malattia degenerativa.
    Sta soffrendo così fortemente, nonostante due volte al giorno prenda la morfina, che mi ha confidato di pensare spesso alla soluzione della “eutanasia”.
    Sono rimasto sconcertato: non avevo mai incontrato in vita mia una confessione così sconsolata.
    Ti confesso (e confesso ai pochi miei amici che mi leggono) che mi sono pentito di non averle chiesto il numero di cellulare: credo che in frangenti del genere una persona abbia bisogno di relazioni intense e solidali.
    So, Emilio, quante persone sofferenti tu conosci e quante relazioni intense e solidali hai realizzato con loro.

  • Sono i dolori fisici che ci annientano, tanto più se si tratta di dolori destinati a crescere a causa di una malattia degenerativa, ma è anche la solitudine che ci annienta.
    Quanto anziani ricoverati soffrono di solitudine perché abbandonati da parenti e amici!
    E quanta gente, anche a casa propria, soffre perché priva di relazioni profonde.
    Sono sofferenze che non possono essere lenite dallo Stato, ma solo dalla solidarietà di altre persone.
    Spesso, tuttavia, manchiamo di sensibilità (io accuso me stesso) e non ce ne accorgiamo.
    Non voglio, Emilio,… santificarti, ma quello che fai è per noi uno stimolo.
    Non è la tanto decantata “bellezza” a “salvare” il mondo – mi viene da dire spontaneamente – ma solidarietà umana.
    Una solidarietà che paradossalmente esprimiamo di più nei confronti degli animali che del “prossimo”.

  • Piero, è il dolore psicologico che è terribile. Per il dolore fisico ci sono giustamente le cure palliative, nonostante ancora qualche resistenza, e assenza in tante parti d’Italia, ma per l’altro credo non ci sia proprio nulla da fare. Soli alla diagnosi, soli nei ricordi, nei rimpianti, nelle cose non dette e non fatte, la consapevolezza che la vita se ne è andata e la solitudine ovvia nel momento ultimo. Quando capiterà a me non so cosa farò. Anche se credo che nei palliativi ci siano psicofarmaci. Ma questo non lo so. Però ricordo anche che il Dott. Orsi dice che verso la fine il malato terminale non vede l’ora di andarsene, anche col dolore fisico sotto controllo, soprattutto se guardandosi allo specchio non ci si riconosce più, se alla cintura dei pantaloni si sono già aggiunti dei buchi. Questo è l’esempio che portò quella sera in Comune, invitato da qualche partito in campagna elettorale per il sindaco.

  • Lo ricordo, Ivano: c’ero anch’io.
    Il dolore psicologico, certo: un dolore che accresce nella misura in cui ci si sentiamo abbandonati, lasciati soli.

    Mi permetto, Ivano, Emilio, Adriano… di esprimere sommessamente un paradosso: come la 194 non è la licenza di abortire, ma si propone di eliminare le cause dell’aborto, così la legge che consente il biotestamento non si propone di l’obiettivo di condurre il sofferente a prendere la decisione di staccare la spina, ma di creare le condizioni di “solidarietà umana” perché quella decisione non venga mai presa.

    Si tratta di un paradosso, lo so, ma io ne sono convinto (e ancora di più se si giungesse a una legge che consente il suicidio assistito): è la disperazione che spesso porta chi soffre a prendere la decisione fatale, disperazione che spesso deriva dalla solitudine, dal non sentire la vicinanza dei propri parenti e amici.

  • Ieri sera al Caffè filosofico si è parlato ampiamente di depressione con una relatrice di eccezione: Chiara Gnesi.
    Non entro certo nel merito dei tanti fattori che possono scatenare la depressione, ma solo ricordare un motivo che in questa sede ho già espresso: sono i dolori cronici che spesso provocano la depressione, come è la solitudine che può produrre lo stesso effetto.
    Certi dolori non possono essere eliminati se non con la morfina, ma di sicuro possono essere sopportati meglio se intorno a sé la persona che soffre vede gente che condivide il proprio dolore. So che tutto questo non è facile perché una persona depressa non attira amici, ma anzi li respinge. Da qui una depressione sempre più acuta e da qui la tentazione del suicidio.

    I temi che hai toccato, Emilio, non toccano solo i malati terminali, ma tanta gente che è in mezzo a noi, ma che spesso noi non vediamo.
    C’è tanta sofferenza in giro e spesso noi giriamo la faccia.

    Non lo so se sia vero, ma pare proprio che la depressione sia un tratto che caratterizza profondamente il nostro tempo: un tempo che regala tanti beni “materiali”, ma che, nello stesso tempo, ci ha resi sempre più delle “monadi” (senza porte e finestre).

  • Il primo passo verso il suicidio assistito?
    I giudici di Milano sospendono il processo a Marco Cappato e rimandano alla Consulta la decisione di stabilire se l’aiuto al suicidio sia o meno un reato. Già immagino tante compagini politiche, e si sa quali, impugnare questa ordinanza a fini elettorali. Momento sbagliato per una decisione che richiede il massimo della lucidità e serenità contro un cinismo camuffato da “umanità” che in molti cavalcheranno.

  • Concordo, Ivano: si tratta di una materia delicatissima da non sfruttare in chiave elettorale.
    La mia opinione, più volte espressa, è che si andrà nella direzione dell’autodeterminazione: nessuno può essere costretto contro la sua volontà a vivere in determinate condizioni.
    Ma aggiungo quanto ho già scritto in questa sede: saranno parenti e amici che dovranno creare le condizioni perché quella tentazione venga meno.
    Ho fatto il confronto con la 194:… rimuovere le cause…

  • Non sono un giurista, ma credo che un conto sia l’istigazione al suicidio e un conto accompagnare una persona che liberamente ha deciso di chiudere la sua esistenza in una clinica Svizzera.
    Tra i due comportamenti mi pare ci sia un abisso.
    Certo, tutto il discorso ruota intorno alla “autodeterminazione”, cioè alla piena libertà del soggetto in questione.
    Vedremo la sentenza della Consulta, ma mi auspico che vada in questa direzione.

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