Scandalo e foto compromettenti: non si tratta di persone sorprese in atti osceni ma di auto sorprese in posizioni indecenti. È la trama del nuovo libro di Giovanni Ferrari, un giornalista noto al pubblico per la sua passione verso il mondo della bicicletta. Ambientato in una città di provincia del sud Italia, il libro inizia con nove amici amanti della bicicletta che una sera, a cena, commentano lo scempio che il centro città subisce a causa dei parcheggi selvaggi, soprattutto in certi orari e nei fine settimana. La scomparsa dal centro storico della vigilanza urbana locale costituisce un terzo mistero dopo quelli della scomparsa di Majorana e dell’aereo Malaysia 370. Ogni mascalzone può piazzare l’auto in mezzo alle pubbliche vie, davanti ai passi carrai, sui posti dei disabili, dovunque la cafonaggine automobilistica possa recare intralcio e danno. Nasce allora l’idea di un premio di mille euro per chi tra i nove scatterà la migliore fotografia che immortali il peggior parcheggio, quello più emblematico della cialtroneria impunita. Ognuno versa una quota e i mille euro sono messi in palio. Tre altri amici accettano di fare da giudici. Tutti sono automobilisti responsabili e al tempo stesso appassionati di ciclismo. Ma senza compulsive smanie tecnologiche e agonistiche. Niente telai e attrezzature in materiali costosi, niente tutine pagliaccesche, niente uscite domenicali di anziani scaramacai coi polpacci depilati. Sono sobri pedalatori di manufatti pesanti, squadrati, senza cestini, borse, ammennicoli vari e soprattutto, rigorosamente, senza cambio. Gente da Bike Nation di Peter Walker, affezionata alla propria Umberto Dei, come quella del libro di Michele Marziani. Si sono pure trovati un nome: Pedalatori Rurali Italiani. Sono persone pacifiche, tranquille, perbene. Ma esasperate dal non poter uscire dai propri passi carrai bloccati dal solito tamarro, dal non poter proseguire sulla ciclabile per l’auto messa di traverso dal solito truzzo. Così, cominciano la caccia fotografica. Le foto vanno fatte dalla bici, allo scoperto, con una camera standard, agile e veloce, uguale per tutti, una compatta robusta e di pronto impiego. Seguono tre mesi di appostamenti, scatti, agguati. Ci sono pagine divertentissime sulle spudorate malandrinate e sulle bricconate vergognose degli automobilisti. Si scopre che gli ausiliari del traffico sanzionano il superamento dell’orario sul biglietto esposto ma nulla possono davanti all’auto lasciata sfrontatamente sul passo carraio o in mezzo alla piazza. Si scopre che il corpo di vigilanza urbana è sotto organico e senza mezzi, costretto a tutt’altre incombenze d’ufficio, coi pochi vigili ancora sul terreno messi nell’impossibilità di agire. E si scopre una casta di furbi, una cerchia di habitué incalliti del parcheggio bifolco. I nove amici prendono le targhe, scoprono i nomi, i trucchi preferiti (molto diffuso il pass per disabili usato da giovanottazzi lampadati e da sciurotte botulinate), le “specialità” in cui eccelle la iattanza dei trasgressori. Un furbacchione parcheggia sempre ingombrando una via di sbocco in una piazza centralissima ma piazzandosi “di fianco” alle righe gialle perimetrali dei disabili, sulle strisce trasversali di rispetto, così da non rischiare punti di patente in meno. Alcuni impudenti lasciano scritto “servizio teatro” sul cruscotto, in una fila di auto in flagrante divieto di sosta davanti al teatro cittadino, salvo poi scoprire chi siano veramente questi intoccabili e quali “servizi” vadano a fare in giro nel frattempo. Un lestofante va a farsi l’aperitivo nella piazza principale lasciando sempre l’auto a ostruire una stretta via in senso unico, creando code di cittadini bloccati e dicendo ogni volta, tornando dopo un’ora, “avevo messo le quattro frecce”. Saltano fuori tanti piccoli capolavori della strafottenza becera, della sfacciataggine spocchiosa che ogni giorno, ogni ora restano impunite. Si arriva così al momento dell’aggiudicazione del premio di mille euro. Vince una foto che è l’emblema di una città sequestrata dagli automobilisti farabutti. Una foto che riassume tutto. Nella piazza che ospita il monumento ai caduti, si stanno svolgendo le commemorazioni del IV Novembre. Labari, corone, banda e tutto il resto. Dappertutto, cartelli di conclamato divieto di sosta. Ciò nonostante, l’auto di un impunito troneggia a pochissimi metri dai celebranti. Nella foto si vede un esponente locale che fa il suo discorso davanti a quest’auto, fra tre cartelli di rimozione forzata (zoom ottico x 25). Davvero un top shot: vittoria meritata. A questo punto, i nove amici comprendono che tanta impunità non può essere casuale. Scoprono gli interessi e le complicità che stanno all’origine di questo scempio. E decidono di pubblicare un libro fotografico che documenti la verità dei fatti, con immagini inequivocabili. Tuttavia, mentre il testo con le foto è in fase di stampa, la notizia si diffonde in città. E nasce lo scandalo. E si grida alla violazione della privacy. Violazione del tal diritto, del tal rovescio, violazione di questo e di quello. Su un giornale locale uno dei manigoldi pizzicati con l’auto sempre sul marciapiede inveisce, minaccia, lancia appelli in favore delle libertà costituzionali di parcheggio abusivo, in nome dell’iniziativa imprenditoriale, del benessere collettivo e dell’incremento del PIL, perché la libera intrapresa in divieto di sosta è il motore della società. Un putiferio incredibile. Minacciati da azioni legali e anatemi giornalistici, i nove amici sono infine costretti a rinunciare alla pubblicazione del libro fotografico. Tornano dunque alle loro scampagnate in bicicletta, riponendo le fedeli PowerShot SX 620 (da cui il libro trae il titolo) che per tre mesi avevano estratto dalla fondina, zoomando e cliccando. La parte finale del libro racconta, con molta ironia, questa loro sconfitta. Scandalo e foto compromettenti vengono in poco tempo dimenticati. In città, tutto resta come prima. Il centro storico rimane prigioniero dei cialtroni impuniti, in nome della ripresa, della crescita, del consumo. Trionfano l’ossido di carbonio, il particolato e l’anidride solforosa causati dal traffico incontrollato e dal parcheggio selvaggio. La città-bancarella, la città-luna park resta consacrata ai gas di scarico e alle polveri sottili, in omaggio alla sua principale divinità: lo shopping.
Riferimenti editoriali: Giovanni Ferrari, “PowerShot”, EdiBici, 2017.
Commenti
Pur con le dovute differenze, Pietro, Crema non manca di avere dei punti in comune:
– anche da noi i “vigili” (che dovrebbero vigilare) sono pressoché spariti;
– anche da noi, in piazza Garibaldi (ma forse anche altrove) gli automobilisti lasciano il motore acceso in attesa che la moglie (o il marito) finisca la commissione;
– anche da noi l’indisciplina regna sovrana, anche da parte dei ciclisti (che, mi risulta, non vengono mai multati).
Un libro da leggere (molto efficace la tua recensione, Pietro) e da consigliare a tutti i componenti della Giunta di Crema.
….Pietro, “ta ma la kùntet soave”: :….in una città di provincia del sud Italia”! Balutù….
Lo shot ha fotografato, paro /paro la nostra di città!
Tutto torna con una precisione certosina, e la tua godibilissima presentazione/recensione non fa che descrivere con pungente , intelligente ironia lo stato di fatto della …”repubblica del tortello”.
La sporcizia, la scomparsa di “ghisa” che facciano rispettare la pletore di cartelli stradali, e la contemporanea solerte presenza di ausiliari che contravvenzionino il superamento del minutaggio, le poche piste ciclabili cittadine …”terreno di caccia” di sostatori selvaggi ed i passaggi pedonali area …elettiva delle sciure motorizzate.
E’ la nostra bella Crema, pepele/pepele!
Eddiamoci dentro, chissà che qualcosa cambi!!!!!
Ho avuto un paio di settimane fa due dimostrazioni di professionalità ed efficacia a proposito del mio passo carraio ostruito da uno dei soliti cialtroni. La prima da parte della nostra vigilanza urbana. Chiamato il 112, dopo un quarto d’ora una pattuglia di vigili stava già verbalizzando una multa al cialtrone e a tutta la lunga fila di auto che ostruiva l’intera via. La seconda da parte degli incaricati della rimozione forzata, arrivati dopo un altro quarto d’ora. Nella stretta via a senso unico, con auto davanti e dietro a quella da rimuovere, sono riusciti a fare miracoli per agganciare, prelevare e portar via la macchina del cialtrone. In tutto, cinquantacinque minuti. Certo, se avessi dovuto prendere un treno o un aereo, forse non ci sarei riuscito. Ma se ce l’ho fatta a venir fuori da casa mia per andare in auto all’appuntamento di Brescia e arrivare con “solo” venti minuti di ritardo, lo devo a loro. E li ringrazio molto.